“Hanno la pelle scura e puzzano perché non si lavano, non amano l’acqua. Fate attenzione se vogliono affittare una casa perché si presentano al massimo in due però poi dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Rifiutano di integrarsi , disprezzano le nostre usanze e le nostre tradizioni e tra loro parlano lingue a noi incomprensibili.
Riempiono le nostre strade, i nostri negozi e i nostri locali con bambini che chiedono l’elemosina e con adulti che invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti, e chiedono un aiuto. Sono dediti al furto e molto violenti, è importante che le nostre donne stiano lontano da loro perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.
I nostri politici, i nostri governanti devono capire che stanno sbagliando tutto, hanno aperto le frontiere a questa invasione che mette a rischio la nostra società e la nostra civiltà, non sono stati in grado di selezionare chi entra nel nostro paese, consentendo di farlo non solo a chi viene qui per lavorare ma anche e soprattutto a chi vive di espedienti e, peggio ancora, è dedito ad attività criminali”. Quello che avete appena letto non è uno dei soliti proclami di Salvini, né un articolo di “Libero”, “Il Giornale” o di qualche sito di estrema destra.
Sono i passi più significativi della relazione dell’Ispettorato per l’immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, scritta nell’ottobre 1912. In quegli anni, tra l’altro, il New York Times pubblicava di frequente articoli di questo tenore e, addirittura, anche molto più duri sugli immigrati italiani. “L’italiano di regola è un grande criminale. L’Italia è prima in Europa con i suoi crimini violenti. Il criminale italiano è una persona tesa, eccitabile, è di temperamento agitato quando è sobrio e ubriaco furioso dopo un paio di bicchieri. Quando è ubriaco arriva lo stiletto. Di regola i criminali italiani non sono solo ladri e rapinatori ma accoltellatori e assassini. Questi sono coloro che il nostro governo ci ha portato in casa” scriveva il New York Times il 14 maggio 1909.
Cose non molto differenti sugli immigrati italiani si scrivevano e si sostenevano anche in Svizzera, Germania, Francia, Belgio. “Noi protestiamo contro l’ingresso nel nostro Paese di persone i cui costumi e stili di vita abbassano il nostro standard di vita e il cui carattere, che appartiene a un ordine di intelligenza inferiore, rende impossibile conservare gli ideali più alti della moralità e della civiltà belga” scriveva “Cronique publiée dan Belgique” nel gennaio del 1956.
Un quadro molto interessante e assolutamente fedele alla realtà su come venivano considerati e trattati gli immigrati italiani in Belgio emerge dal film “Marina”, la storia del cantante italiano Rocco Granata emigrato in Belgio da bambino insieme alla famiglia e autore della canzona “Marina” divenuta poi un successo mondiale. Il film (girato nel 2013) descrive alla perfezione i soprusi e le discriminazioni che erano costretti a subire gli immigrati italiani, a cui addirittura era vietato l’ingresso in alcuni locali e che venivano incolpati per primi, pur se senza alcun fondamento, in occasione di qualsiasi crimine.
E’ facile ed è comodo dimenticarlo ma la storia, per chi la vuole conoscere, racconta come per decenni gli immigrati eravamo noi italiani, vittime degli stessi pregiudizi, delle stesse invettive che ora rivolgiamo a chi viene nel nostro paese. In tanti lo hanno dimenticato (o forse preferiscono ignorarlo), così come abbiamo dimenticato che all’epoca anche noi siamo stati colpiti e siamo stati vittime di tragedie in mare, con alcune drammatiche sciagure delle imbarcazioni che, come veniva chiamato il carico di emigranti allora, trasportavano la “tonnellata umana”.
Ben 576 italiani morti nel naufragio davanti al porto di Gibilterra, 549 italiani morti nella tragedia del “Bourgogne” al largo della Nuova Scozia, 550 emigrati italiani morti nel naufragio del “Sirio” in Spagna, 314 italiani morti (ma secondo i brasiliani le vittime furono più di 600) nel naufragio della “Principessa Mafalda” al largo del Brasile…
Tratta da un articolo di Francesco Di Silvestre su www.francescodisilvestre.it/