Prima di poter partire occorre esser capaci di sognare il viaggio.
E per sognarlo, per poterne capire il significato e per giungere a destinazione occorre avere le parole per dirlo.
Un grande autore ebbe a scrivere che “L’uomo può controllare solo quello che comprende e comprende solo quello che è in grado di esprimere a parole”.
Lo scrittore in questione è un maestro della fantascienza, autore di romanzi e racconti di successo da cui sono stati tratti film diventati dei classici come i suoi testi. Un titolo per tutti: Solaris. Lui si chiama Stanislaw Lem.
Per me che quando l’uomo andò sulla luna ne avevo 7 anni, la tivvù era una sola e con soltanto un canale in bianco e nero, e che incantato vedevo i razzi salire alti nel cielo senza capire perché da quaggiù poi non li vedessi tracciare orbite nel cielo, la congruenza tra il cognome di Stanislaw a il nome del modulo lunare non mi è mai sfuggita – come mi accade di solito con gli aspetti marginali delle vicende. LEM sta per Lunar Exursion Module, un ragno tecnologico con un computer a bordo di pochi kilobyte di memoria e comandi manuali che il 20 luglio del 1969, per la prima volta è sceso sulla luna con due uomini a bordo.
Quei razzi, quei moduli, quelle “navicelle” li avrei poi visti dal vivo, da adulto, a Washington, in uno degli Smithsonian Museum insieme al mio amico Giuseppe Biondi (Beppe, che ora non c’è più) Eravamo tornati bambini insieme, in quel pomeriggio di quasi 30 anni fa che avevamo deciso rubare alla realtà e per dedicarlo ai nostri sogni. Incredibile. Roba di mezzo secolo fa, ma la meraviglia non smette – tanto che c’è chi ancora non crede sia vero. Penso, in genere, che l’incredulità di fronte a cose reali – la terra tonda-, vere – i vaccini che salvano la vita-, concrete – l’HIV causa l’AIDS-, tragiche e oscure– l’Olocausto- ma anche immense, come anche lo sbarco sulla luna: penso che in genere il negazionismo colpisca solo i poveri di spirito, coloro che sono anche i meno dotati di immaginazione e non a caso gridano le loro fantasie con la sicumera dei paladini della verità, convinti di esser loro i custodi della concretezza.
Paranoici, risiedono fuori dal mondo, incapaci di abitare il loro tempo, nell’assoluta impossibilità di vivere l’incanto che si prova disponendosi alla lettura dell’esistente. Nei mangiadischi e piatti per ascoltar musica, lanciato l’11 luglio 1969 andava il 45 giri di David Bovie “Space Oddity” : “This is Major Tom to Ground Control / I’m stepping through the door /And I’m floating in a most peculiar way / And the stars look very different today / For here / Am I sitting in a tin can / Far above the world/ Planet Earth is blue /And there’s nothing I can do…” . I giri – orbite attorno alla luna- dell’Apollo 11 sono stati complessivamente 30.
Partirono il 16 rientrarono il 24 luglio. A bordo del modulo di servizio e comando, oggi 50 anni fa, erano in tre: Michael Collins, pilota del modulo di comando, Buzz Aldrin, comandante del LEM, Neil Armstrong, comandante della missione. Dato l’obiettivo del viaggio, immagino la partenza, l’emozione e la preparazione. Penso a quanto addestramento l’abbia preceduta e, nell’immediato, quante volte la procedura sia stata ripetuta, analizzata, passata in rassegna. La luna era come sempre a 384.400 chilometri di distanza, ma il 16 luglio 1969 quello spazio stava per esser colmato fisicamente e il satellite per la prima volta “camminato” dall’uomo.
La distanza e la prossimità della luna nella vita degli uomini sono da tempo state elaborate e divenute realtà quotidiana. E’ accaduto senza tecnologia, ma solo con il trascorrere del tempo, – mediante le parole e i modi di dire, in cui si annidano e trovano forma la comprensione, i desideri, le delusioni, insomma lo sguardo che poggiamo sul nostro mondo, facendone esperienza sensibile.
Il lunario da oltre 500 anni racconta dei giorni e dei mesi dell’anno accompagnando ipotetiche previsioni metereologiche con le fasi lunari, guida importantissima per l’economia agricola perché sul loro rispetto si basava la vita – quando piantare, quando svinare, quando imbottigliare- cui poi si sono aggiunte altre informazioni, facendo spesso coesistere versetti della Bibbia e previsioni astrologiche.
Il lunario era di fatto la trama cosmica cui aderire e conformare i ritmi della propria vita secondo la terra, quella che è bassa e su cui abitiamo e insistiamo. Sbarcare il lunario – accennarne in occasione di 50 anni dallo sbarco sulla Luna fa sorridere- è espressione per indicare vivere stentatamente, assemblando quanto è appena necessario alla sopravvivenza.
Volere la luna è chiedere l’impossibile – ancora oggi lo è, perché 12 uomini (e nessuna donna) che complessivamente sono stati sulla Luna nel periodo del progetto Apollo sono troppo pochi per percepire il satellite accessibile per tutti noi. Inaccessibile, ma influente invece lo è, a quanto pare. Il cane “abbaia la luna”, perché dalla sua luce è disturbato e la vorrebbe allontanare. “Andare a luna” indica l’esser incostanti, volubili, soggetti a sbalzi d’umore che si conforma alla sequenza ritmica delle fasi della luna. Così soggetti all’influenza del satellite, gli umori variabili erano spiegati e detti dalla cultura popolare con espressioni quali “andare a quarti di luna”, 2a punti di luna”.
Se poi la luna si mette di traverso o storta, allora si è intrattabili, irascibili perché gli influssi sono negativi. In questi casi son “chiari di luna” non da poco, modo di dire che sta a indicare un periodo difficile, anche economicamente. Al contrario, “esser di luna buona” vuol dire esser allegri e sereni. Dolce la “luna di miele”, i primi giorni della coppia subito dopo del matrimonio– prima che si squassi alcunché, quando si è certi di “vedere la luna nel pozzo”, perché proni a illusioni e lusinghe.
Ci sono poi le parole, emanazioni o evocazioni della luna. Lunotto, il vetro posteriore della macchina; lunato, per dire che ha la forma falcata del quarto di luna; lunare, per riferirsi a un paesaggio spoglio, bianco, desertico – o a un carattere lunatico, è la prima. Volubile, imprevedibile, instabile – spiegano i vocabolari- facile all’irritazione. Insomma, vien suggerito che si possa usare come sinonimo di bisbetico.
Orribile scoprire che come arcaismo si suggerisca il sinonimo di “epilettico” – scorciatoia lessicale, volgare e superficiale per indicare persona che vive con epilessia. Altra parola “lunare” è stralunato. In genere si riferisce di chi vive un’emozione così forte da porre sulle cose che accadono, e quindi sulla propria vita, uno sguardo alterato e atterrito con gli occhi così sbarrati da mostrare il bianco.
E poi c’è luna park – che a me non piace. Mi annoia pensare a uno spazio dove per forza si inzeppano cose che dovrebbero esser divertenti – mentre mi sembra un luogo perfetto per ambientare film horror. Sembra che il nome derivi da un parco di divertimenti di New York, dove luna dovrebbe esser evocativo di un “fantastico” banalizzato e reso fruibile da monete e gettoni.
Preferisco il carattere fantastico dell’inaccessibile, uscire stasera in terrazzo e guardare quel candido disco piatto che sta all’opposto del sole, godendo del fatto che tra i due – meraviglia nella meraviglia, oggi che l’Apollo 11 50 anni fa decollò per andare con tre ardimentosi sulla luna– tra i due corpi celesti stasera la Terra “occuperà” una porzione di spazio che crearà ombra sul nostro latteo satellite. L’eclissi lunare del secolo, dicono.
La Terra oscura la Luna e nel mentre l’umanità proietterà la propria ombra fin lassù, inconsapevole e distratta, oppure tronfia e indaffarata – comunque senza sapere trarre le conseguenze profonde dal fatto che l’uomo è, come scrisse Einstein, soltanto un “osservatore liberamente sospeso nello spazio”.