Piccolo Eliseo. Via Nazionale. Roma.
Un bellissimo teatrino che allora era arricchito dall’allestimento della sala a cura di Pierluigi Pizzi, regista costumista e scenografo dallo straordinario senso estetico.
Noi tecnici in palcoscenico pronti, in attesa dell’arrivo di Franca Valeri con cui concordare gli ultimi dettagli sui movimenti di scena e sugli effetti di luce prima del debutto che ci sarebbe stato il giorno dopo.
Aria rilassata.
Nessuna ansia come quella che precede in genere l’andata in scena di uno spettacolo importante in un teatro storico della capitale.
Poco prima un mio collega, dalla scala dove era salito per puntare le luci, si era fatto sfuggire di mano un paio di pinze che mi presero in pieno sulla capoccia.
Tanto sangue.
Lo stesso distratto collaboratore a quel punto, per aiutarmi, mi trascina in bagno e mi versa sulla ferita un’intera bottiglia di alcol denaturato. Quello rosa che ormai non si usa più se non per rimuovere la colla dai vetri.
Brucia molto l’alcol, ma soprattutto succede che quando va negli occhi ti annienta.
In più nella concitazione ho aspirato il vapore di quel liquido terribile. Insomma la ferita in confronto al comprensibile tentativo di disinfettare era niente.
La signora Valeri è arrivata quando tutta questa piccola tragedia era già finita e ci eravamo ricomposti.
Io con una mano in testa e i capelli zuppi, il mio collega spaventato, gli altri che rassettavano e toglievano le tracce dell’incidente, le saremo sembrati almeno strani, ma quello era.
Abbiamo cominciato a concordare con lei la disposizione della scenografia disegnata da Giulio Coltellacci e i cambi di costume e gli effetti di luce e le musiche di Manuel de Sica, ma soprattutto il momento di attivare il cubo.
In scena c’era un cubo decorato che si trasformava velocemente in una poltrona.
Movimento elettrico comandato a distanza. L’unico effetto speciale dello spettacolo, per il resto bastava lei.
“Vi ricordate no? Io qua dico quella battuta e deve venire il buio“.
Poi “… a questo punto tu mi passi il cappellino…”
E poi ancora: “… qui mi siedo alla poltrona e faccio il pezzo della Sòra Cecioni. Ve lo ricordate no“?
Ci siamo guardati tutti e… boh… ” No io no mi ricordo. Sòra Cecioni ha detto”?
“Nemmeno io mi ricordo – fa un altro – Ce lo accenna per favore, che così mettiamo a fuoco bene il momento”.
E lei: “Ho capito ve lo rifaccio, ma non mi prendete in giro eh! Comunque mi fa piacere fare questo pezzo solo per voi. Almeno rinfresco la memoria“.
E noi seduti in platea ci siamo gustati dal vivo la Sòra Cecioni nell’interpretazione della sua creatrice.
Il nostro applauso alla fine lo lascio immaginare.
Lei è un tipo così, elegantemente semplice.
Attratta dal mondo e dai personaggi che abitano le periferie di cui il girone dei tecnici e dei trasportatori teatrali è ricco.
La stagione teatrale prima di quella, per esempio, quando aveva portato in tournée lo stesso spettacolo ma con un titolo diverso, era capitato un fatto che l’ha molto divertita.
La sera spettacolo in una città.
Smontaggio a cura dei tecnici e carico del camion da parte dei trasportatori che subito dopo partono per raggiungere la prossima piazza. Così si chiama la città dove si reciterà domani: piazza.
I tecnici normalmente arrivano in teatro alle 8 di mattina e in genere trovano scene e casse delle luci già scaricate dal camion, così possono cominciare il montaggio.
Quella volta lì il palcoscenico era vuoto. E del camion nessuna traccia.
Allora qualcuno parte in macchina facendo la strada verso la piazza di ieri, per vedere se fosse successo qualcosa lungo il tragitto.
Niente.
Si chiamano gli ospedali: niente.
La Polizia Stradale: niente.
E poi finalmente i Carabinieri che sapevano bene la fine che avevano fatto i nostri amici trasportatori.
Pare che la sera prima era stato compiuto un furto ai danni di una gioielleria della città dove si recitava. Lancia termica, saracinesca sfondata, tutto rubato.
Sul camion della compagnia, i militari avevano trovato tracce sospette e così avevano fermato tutti per accertamenti.
Avvertito al telefono, parte da Roma il titolare della ditta di trasporti. Un omone peloso con una voce profonda e le mani enormi.
“Brigadié i ragazzi stanno con me. Garantisco io per loro“.
“Bene, lei come si chiama“?
Alla dichiarazione delle generalità, nelle mani del brigadiere è apparso un lungo curriculum che raccontava la storia del titolare della ditta che voleva garantire per i suoi ragazzi e le cose, a quel punto, sono andate per le lunghe.
Quindi quella sera: spettacolo senza scenografia, senza la poltrona magica, senza costumi, senza luci.
I tecnici hanno rappezzato con quello che hanno trovato.
La signora Valeri ha con piacere recitato senza nemmeno togliersi la sua preziosa pelliccia e ha confessato che quella è stata una delle sere in cui si è divertita di più.
Una delle poche attrici di quel livello che non ha mai fatto le bizze, ma lei lo sappiamo: è unica.