Chissà quante fra le persone che leggeranno questa piccola riflessione hanno avuto un contatto con una qualcuno affetto dalla malattia che cancella velocemente pezzi di memoria e di conoscenza. Chissà!
A me è capitato e ho scoperto che almeno ad un certo punto della malattia, il malato vive in un mondo completamente suo del tutto scollegato da quello che noi consideriamo “reale“.
Eh sì perché dove sta scritto che il nostro è il mondo vero e quello dove vivono queste persone invece no?
Le persone che dicono di vedere e che “non esistono“, non ci stanno proprio, da nessuna parte dell’universo, oppure siamo noi che non le vediamo?
Boh!
E poi mi chiedevo ieri mentre cercavo di capire cosa vedevano gli occhi di mia suocera persi lontano, sarà giusto far rientrare il malato dalla dimensione che vivono, per provare a riportarlo nella nostra?
E quanto è crudele spiegare più volte al giorno che la famiglia che pensa la stia aspettando a casa non esiste più? E nemmeno quella casa esiste più!
Il papà, la mamma, i fratelli: tutti scomparsi e ogni volta c’è qualcuno che glielo ricorda.
Certo lei lo dimentica subito, ma non è crudele più volte al giorno raccontare di una vita, la loro, quella dei malati che è finita per sempre?
E dove sono esattamente loro con la testa quando vedono e sentono quello che noi non vediamo né sentiamo?
Se non fossero a spot queste loro sensazioni, se fossero costanti invece di andare e venire, si potrebbe pensare che il loro mondo non ha meno dignità del nostro.
Anche perché il loro mondo, per le persone in quelle condizioni, è reale.