Ho vissuto anche io un periodo di concerti. Per lavoro, ne ho seguiti un po’. Uno di questi è stato quello di Fela Kuti a Milano qualche anno fa.
Il posto dove si esibì mi pare fosse il Vigorelli, ma forse no. Era uno spazio chiuso e molto più piccolo. Beh, mi verrà in mente.
(La mia amica Silvia, che era presente a Milano in quel periodo e si occupava dell’organizzazione, dopo aver letto questo articolo, mi ha ricordato che il concerto era al Castello Sforzesco).
Comunque la storia era questa più o meno:
Il musicista africano era stato invitato per un concerto a Milano al Festival dell’Unità, che in quegli anni proponeva i più grandi del momento.
Lo chiamavano il Black President. Molto impegnato nella politica del tempo era nato in Nigeria.
A Milano arrivò con una quarantina di mogli e altrettante suocere che per lo spettacolo furono schierate a semicerchio sul fondo del palcoscenico. A vista del pubblico. Nemmeno battevano il tempo le mogli e manco le suocere. Stavano lì e assistevano.
Ma il problema vero non era questo.
Il problema era che i musicisti e il numeroso seguito prima di arrivare in Italia,spedirono con un volo a parte gli strumenti musicali.
Appena arrivata questa montagna di casse, la dogana scoprì che oltre a chitarre e sassofoni, contenevano pure una settantina di chili di Marijuana.
Troppi pure per un musicista trasgressivo come lui.
Allora le autorità italiane avvertirono Fela in Nigeria comunicandogli che se fosse arrivato in Italia sarebbe stato arrestato.
“Un complotto dei miei oppositori politici! Ecco cos’è questa cosa…” disse il musicista alla stampa e venne comunque in Italia.
Scese all’aeroporto, ma non andò a ritirare i bagagli spediti giorni prima. Quelli con la Marijuana.
Potevano farlo, ma nemmeno ci provarono.
Allora la polizia italiana, per sicurezza, sequestrò loro tutti i passaporti.
Il gruppo per poter suonare al concerto, noleggiò degli strumenti in qualche negozio, con l’aiuto degli organizzatori del Festival, ma prima passarono al ristorante per rifocillarsi dopo il viaggio.
Erano in 40, fra musicisti, tecnici e alcune delle mogli.
Quando uscirono si erano pappati 240 bistecche. 240.
Una media di 6 a testa. Così almeno ci hanno raccontato quelli che si erano occupati di gestire la loro presenza a Milano.
Poi sono stati accompagnati nel luogo del concerto che era una grossa sala con gradinate. Offrirono loro delle mele, come gesto di cortesia.
Pure le mele, dopo le bistecche ebbero un gran successo.
Prima di addormentarsi sonoramente sulle gradinate, i musicisti e i componenti del gruppo, ingaggiarono una dura battaglia a colpi di torsoli di mele, poi sfiniti aiutarono la digestione con una gran pennichellona.
Intanto in teatro erano arrivati gli strumenti noleggiati.
Fela li sballava e insegnava ad ogni musicista, uno o massimo due accordi da fare per accompagnarlo.
Ognuno fece quell’accordo e il concerto ebbe lui come personaggio centrale, che fu molto apprezzato dal pubblico.
Alla fine del concerto bisognava passare a ritirare i bagagli per avere indietro i passaporti ma nessuno si faceva avanti.
Così nei giorni successivi Piazza del Duomo il salotto milanese, era piena di donne nigeriane in abito tradizionale che giravano a piedi in attesa di poter ripartire.
Per sbloccare la situazione ci fu una delle ragazze che decise di confessare che quei 70 e passa chili di marijuana erano suoi. Si prese tutta la colpa.
Uso personale.
Così lei ando in galera e tutti gli altri furono liberi di ripartire.
Per quanto riguarda il pagamento dello spettacolo, una volta detratti i pasti ed il noleggio di strumenti e attrezzature, poco ci rimase.
Una situazione da ricordare quella di Milano.
Divertente per chi come me la guardava da esterno, certamente meno per il Black President, musicista di valore ucciso nel 1997 dall’Aids.