UNA DOMENICA DI FESTIVAL

3 luglio. Un caldo prepotente.

La mattina vado ai Giardini dell’Ippocastano dove è in esposizione l’auto della scorta di Falcone. Quella coinvolta nell’esplosione di Capaci.

La macchina accartocciata sta dentro una teca, sotto il sole.

Intorno un po’ di ombra e il suono delle cicale. Tante cicale.

Qualche sicurezza la prendo dal pensare che la morte potrebbe essere chiusa lì dentro quella teca trasparente, mentre intorno è estate, caldo, vita.

Se è così siamo dalla parte giusta, ma nessuno ha questa certezza.

Alcuni attori spoletini leggono poesie e pensieri su richiesta dell’Associazione Libera.

Si rompe l’impianto audio.

Loro continuano a leggere, ma noi capiamo poco niente.

La pièce finisce poco dopo.

È quasi ora di pranzo.

Nel pomeriggio c’è un balletto interessante al Nuovo – Menotti. Alle 16, quindi bisogna organizzarsi per tempo.

Arrivo a teatro con un po’ di anticipo e scopro che l’orario è 16,30.

No 16.

Va bene aspetto.

Caldo?

Sì caldo, ma aspetto. Mi rinfresco con un po’ d’acqua e aspetto.

Finalmente “fanno porta” (consentono l’accesso al pubblico in sala).

Il balletto Weg, di Ayelen Parolin, comincia con la pianista che percuote la tastiera del suo strumento, con la custodia di un CD.

Poi passa direttamente ai pugni e agli schiaffoni sempre sulla tastiera del piano. Continua così per parecchio.

Intanto i danzatori fanno quello che possono per seguire quell’idea di musica.

In un’intervista la coreografa ha dichiarato che “danzare è un caos gioioso”.

L’abbiocco per me arriva prima della parte gioiosa e così mi devo accontentare del caos.

Ogni volta che apro gli occhi ci sono i danzatori che ognuno per i fatti suoi, gira per il palcoscenico. Il glorioso palcoscenico del Nuovo – Menotti.

Non tutti abbiamo gli strumenti per capire la provocazione e il messaggio di questo balletto.

Io di sicuro non ce l’ho!

All’uscita molti occhi lucidi. Commozione? Risveglio? Boh!

Comunque abbiamo un altro appuntamento: al Teatro Romano, con Barbara Hannigan la bravissima soprano e direttore d’orchestra che abbiamo apprezzato solo ieri in Piazza Duomo.

Un bravo pianista e lei che canta davanti a un leggio. Pure qui siamo in molti a renderci conto che la nostra preparazione musicale non è sufficiente per apprezzare appieno questa proposta del Festival.

Mi avvicino alla porta d’uscita.

Ci penso, perché non sta bene andarsene prima, ma poi cedo.

Per la prima volta in tanti anni, convinto che non riuscirei a prendere altro dallo spettacolo, esco.

Me ne vado.

E scopro di non essere stato il solo a cercare la libertà.

Mentre aspetto l’uscita del pubblico alla fine dello spettacolo, mi concedo un trancio di pizza.

No mi dispiace, abbiamo solo pizza al piatto. Quelle grandi”.

E vabbè, mi faccia una pizza di quelle grandi. Ne mangio un po’ a fatica, senza riuscire a finirla, cerco di aiutarmi con una birra.

Poi incontro altri spettatori dello spettacolo della Hannigan e chiedo cosa ne pensano.

Qualcuno apprezza, altri meno.

Vado verso casa. Incontro un politico che per tutto il tratto di strada, passeggiando, mi racconta della sua visione di futuro per questa città.

Arrivo a casa.

Per oggi può bastare.

A domani.

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