Quanto serva conoscere bene la tecnica di quello che si fa, si capisce da questo piccolo racconto di un evento capitato qualche anno fa al Teatro Coccia di Novara.
Produzione Teatro Eliseo. Lo spettacolo si chiamava “L’Aquila a due Teste”. Regia di Gabriele Lavia.
Protagonisti Umberto Orsini e Rossella Falk.
Tecnicamente la scenografia non presentava troppe difficoltà dopo che in allestimento, il regista decise di buttare quello che lo scenografo aveva creato, mantenendo solo due piccoli spezzati, cioè due pezzetti di parete.
Se non ricordo male c’era una scaletta al centro poggiata sulla moquette e mi sa poco altro. Pure per le luci non c’era da impazzire.
Una tournée tranquilla insomma. Fra gli altri attori c’erano anche Pietro Biondi e Gianni Giuliano.
Poi anche un paio di comparse.
Nel programma delle piazze, cioè delle città dove avremmo dovuto portare lo spettacolo, c’era anche Novara. La città natale di Orsini. Chiaramente tutti ci tenevano a portare in scena uno spettacolo il più pulito e funzionale possibile.
Così noi, mentre eravamo in giro, abbiamo trovato un giorno per andare a fare un sopralluogo al Teatro Coccia, per assicurarci che non avremmo avuto problemi tecnici.
Coccia è il cognome più diffuso a Norcia. Strano. Chissà se hanno mai pensato a un gemellaggio.
Il teatro era in realtà un grosso cinema e in mezzo al palcoscenico, appoggiato e assicurato con corde in soffitta, c’era un grande schermo per la proiezione dei film.
Ovviamente quello schermo lì non ci poteva stare ché avrebbe reso impossibile il montaggio della scenografia, quindi chiedemmo di rimuoverlo in modo da farci trovare tutto libero per quando saremmo arrivati.
Ci rispondono che non c’era nessun problema. Capiscono e ci diamo appuntamento per il giorno dello spettacolo.
Alle 8 della mattina di quel giorno, noi entravamo in palcoscenico per cominciare il montaggio di scene e luci.
Purtroppo lo schermo, pesante e polveroso era ancora lì in mezzo con tutta la sua enorme struttura metallica che lo teneva in piedi.
Intorno una decina di tecnici locali che urlando per lo sforzo, cercavano di spostarlo.
Qualcuno più scafato aveva pensato anche di legare tutta quella roba con delle corde dalla soffitta, che sarebbero dovute scorrere sulle travi, per provare a spostare il trabiccolone.
Niente da fare. Non c’erano riusciti.
Sudore, polvere e mortificazione si erano mescolati sul volto di quei tecnici e pure dell’assessore arrivato trafelato dal comune a dare una mano.
Le cose tocca saperle fare abbiamo detto no?
Il nostro macchinista è andato in graticcia con il suo martello, ha fissato quattro rocchetti, cioè carrucole dove far scorrere le corde e con questo semplice sistema, lo schermo è stato prima sollevato e poi spostato sul fondo, dove non avrebbe dato fastidio.
Facile no?
Fino qui ordinaria amministrazione.
La giornata però ha preso un guizzo divertente quando, mentre stavamo lavorando in palcoscenico, schermo spostato, abbiamo visto entrare dalla porta del pubblico e attraversare la sala, un battaglione di soldati in divisa. Erano un centinaio. “Passo. Un due, un due…”
Giuro che lì per lì ho pensato a un colpo di stato o qualcosa del genere.
“Ci hanno detto che c’è uno schermo pesante da spostare. Eccoci qua. Che dobbiamo fare”?
Dopo aver spiegato tutto, li abbiamo ringraziati e salutati.
“Dietro front… front” e via di nuovo in caserma pronti per la prossima emergenza.
Alle volte forse sarebbe stato più divertente vedere come avrebbero fatto a spostare quel coso che non c’era posto manco per mettere le mani di tutti.
Comunque la giornata è stata divertente.
Quando si dice conoscere la tecnica eh: quattro rocchetti, quattro corde, otto chiodi. Un martello.
I soldati dell’articolo NON sono quelli in foto.