Allora partiamo dal fatto che un copione teatrale scritto bene, consente di contare prima della messa in scena, cioè durante l’allestimento, le prove, il numero degli applausi a scena aperta e delle risate che lo spettacolo produrrà.
Ricordo un impresario che quando eravamo in trattativa per una compagnia, mi diceva: “Ma guarda che quello che ti sto proponendo è uno spettacolo da 50 applausi a scena aperta eh“!
E ce li aveva tutti segnati sul copione con la matita rossa. Guai se il regista che in quell’occasione era Pasquale Festa Campanile, non fosse riuscito a strappare un consenso in più rispetto a quelli previsti. Mai uno in meno.
Ma quand’è che l’uomo ha cominciato a battere le mani per mostrare approvazione?
Leggo da Internet: Già nel Libro dei Salmi (roba datata intorno all’XI secolo a.C.) gli Ebrei venivano così incoraggiati: “Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia“.
E come gesto di approvazione l’applauso venne formalizzato nel V secolo a.C. nell’antica Grecia, a teatro: vestiti a festa, per lo più di bianco, i 14mila spettatori del teatro di Dioniso esprimevano le loro emozioni, tra scoppi di lacrime e applausi scroscianti accompagnati da grida.
Per assicurarsi che l’applauso scattasse al momento giusto nel teatro contemporaneo, fino a pochi anni fa c’era la Claque.
Una o più persone sedute in sala che in genere in cambio di qualche biglietto facevano partire l’applauso o la risata e il pubblico in genere segue.
Adesso che molti ruoli sono stati soppressi per tanti motivi, primo fra tutti quello economico, chi suggerisce al pubblico quando applaudire se gli spettatori non sono del tutto convinti?
Beh, lo fanno a volte proprio gli attori e molto più spesso i tecnici con il direttore di scena in testa. Anche il tecnico delle luci o il fonico in genere posizionati in sala a volte applaudono e trascinano il pubblico.
Uno spettacolo si ritiene di successo per il numero delle risate e degli applausi durante il suo svolgimento, ma anche i ringraziamenti finali, quelli dopo la chiusura del sipario per intenderci hanno un bel valore.
Più durano quegli applausi, più sono le chiamate in scena, più richieste di bis, più aperture di sipario ci sono e meglio è andata la recita.
Ma esistono sistemi per forzare questa risposta del pubblico?
Certo che sì. Si comincia dall’attore che dopo il suo monologo se l’applauso non parte spontaneamente, si gira con le spalle al pubblico e applaude lui stesso non visto.
Poi c’è chi schiocca le dita. Chi insomma produce con i polpastrelli, un rumore simile ad un applauso lontano.
Questo suono dalla quinta, o da una qualsiasi posizione fuori dalla vista degli spettatori, se fatto bene e al momento giusto, fa partire l’applauso: è matematico.
E poi quando l’applauso del pubblico sta per terminare, dare dei colpettini con la mano al sipario chiuso dalla parte interna, lascia immaginare che in palcoscenico c’è ancora qualche attore e gli spettatori ci cascano. Chiedono l’apertura del sipario con un nuovo ultimo applauso.
Queste ed altre tecniche simili sono molto usate soprattutto nel mondo della lirica dove gli applausi durano un’infinità.
Un direttore di scena capace, riesce a prolungare di molto gli applausi addirittura anche scegliendo il momento giusto per accendere la luce in sala.
Accendere tutte le luci della platea quando l’applauso sta scemando, infonde nuovo coraggio e lì il consenso si impenna.
Quanti trucchi da conoscere eh?
Quasi quasi ci starebbe bene un applauso.