Complesso di San Simone a Piazza Campello.
Lo spazio è quello che, fra i primi, Luca Ronconi utilizzò come palcoscenico.
L’interno di una chiesa scrostata, malmessa, quasi bombardata, che già da solo propone un’ambientazione particolare.
Intanto si sta freschi, mentre fuori il caldo squaglia tutto lo squagliabile.
Lo spettacolo diretto da Jeanne Candel prende subito gli spettatori.
Si comincia con un lungo pensiero espresso da un’attrice in lingua russa (forse) e tradotto da un altro attore in italiano.
Poi lo spettacolo sarà in francese con soprattitoli.
Dice: “Ma non l’abbiamo già vista roba come questa“?
Dico: “Mi pare di sì, verso la fine degli anni ’70 del novecento. Nelle cantine romane“.
Però ogni tanto un ritorno, una fiammata nostalgica, un codice che sembrava dimenticato.
Insomma a me alla fine non è dispiaciuto.
A volte prevedibile, altre no, lo spettacolo assume lo spessore di una proposta come quelle del circo dove tutti fanno tutto: spostano la pedana dell’elefante, costruiscono la gabbia dei leoni, si lanciano in spericolate acrobazie sul trapezio.
E qui tutti fanno tutto: recitano in abiti da “Accabadora“, suonano benissimo, recitano, cantano, allestiscono immagini scenografiche.
La soprano merita una particolare attenzione per qualità, intensità e colore della sua voce.
Insomma dopotutto un bagno nei ricordi può essere come in questo caso piacevole.
Baùbo? Bello.