IL FASCINO DELLO SPECCHIO

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IL BISOGNO DI APPROVAZIONE NELL’ERA DELL’IMMAGINE

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Quanto abbiamo davvero bisogno di osservarci ritratti in immagini che ci scoprono in pose da modelli o modelle, quasi fossimo intrappolati nel bisogno di approvazione estetica?

Viviamo in un’epoca dominata da una proliferazione di immagini, alimentata dalle illimitate possibilità offerte dai social media e dalle applicazioni di editing che permettono di migliorarci, di renderci conformi a un canone estetico che sembra imposto più dall’effimero che dall’autentico.

Ci sono tappe, quasi obbligatorie, che molti sembrano percorrere.

Abbiamo assistito tutti insieme al periodo in cui una miriade di persone, specialmente ragazze mature, ma non solo, ha scelto di modificare il proprio volto con iniezioni di botulino o interventi di chirurgia estetica, inserendo sotto la pelle materiali artificiali.

Il risultato? Volti che spesso sembrano maschere: labbra gonfiate oltre misura, zigomi scolpiti in modo innaturale, rughe cancellate a colpi di ago, il tutto accompagnato da acconciature impeccabili.

E rimane poi il corpo, talvolta trascurato, che resta testimone silente di un conflitto interiore.

Ma la domanda cruciale è: abbiamo davvero bisogno di adeguarci a questi standard, di domandarci se siamo in sintonia con il canone estetico dominante?

Le bellezze rinascimentali, piene e morbide, sono da tempo relegate nei musei. Le figure esili, al limite dell’anoressia, che hanno segnato epoche più recenti, sono anch’esse in declino.

E ora, forse, il dominio dei volti gonfiati e plastificati inizia a vacillare.

Ma resta un quesito universale: chi apprezza veramente questo tipo di bellezza artificiale? E soprattutto, cosa spinge una persona a trasformarsi così radicalmente? È forse il risultato di un’incapacità di accettarsi, di un desiderio insaziabile di rispecchiarsi nei gusti altrui?

Non esiste una bellezza perfetta che non abbia qualche stranezza nelle proporzioni.

Questa riflessione di Francis Bacon ci ricorda che la vera bellezza risiede nell’unicità, in quelle imperfezioni che ci rendono autentici e umani.

E così, da spettatore silenzioso, mi chiedo:

non è forse tempo di ritrovare il coraggio di piacersi per come si è, piuttosto che inseguire un’immagine riflessa che non ci rappresenta?

Una considerazione malinconica, forse amara, di chi, come me, ormai brutto e anziano, osserva un mondo sempre più distante dall’essenza e troppo sensibile all’apparenza.

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