Chi ha avuto a che fare anche solo una volta con Genova, può capire perché quel giorno, su quel ponte poteva esserci chiunque.
Un passaggio quasi obbligato che i genovesi, ma non solo loro, percorrevano anche più volte al giorno.
Io a Genova ci sono stato per tutta una stagione teatrale, quello che per la società civile equivale ad un anno.
Quel tempo è stato più che sufficiente per farmi innamorare di quella città, di tutti i suoi abitanti che mi è capitato di incontrare.
Quel ponte quando abitavo lì l’ho percorso avanti e indietro centinaia di volte e come me tutti i genovesi e anche chi attraversava quella terra per andare o tornare dal confine verso ovest.
Quando sono arrivato a Genova per la prima volta avevo prenotato in un albergaccio che stava in Vico Spada. Nei vicoletti caratteristici del centro storico. I Caruggi.
Ho chiesto un’indicazione per trovare l’albergo e un signore attempato mi ha risposto “…ah, dov’è il casino”?
“Forse dov’era” ho risposto io.
“Ma … se le piace pensarla così, faccia pure”.
Lavoravo al Teatro Stabile di Genova ed ero l’unico non di lì, o che non aveva una casa affittata dove vivere una vita normale.
L’unico che dormiva in albergo e mangiava, da solo, dopo lo spettacolo, in ristorante, prima che mi organizzassi diversamente.
Avevo scoperto un posto nei vicoli anche quello, un ristorante in un appartamento al primo o forse addirittura al secondo piano.
Malissimo frequentato.
Io arrivavo dopo il lavoro. Tutti gli altri iniziavano invece a quell’ora una lunga notte di marciapiede. Trans, prostitute, gente eccessiva.
Ricordo un’umanità in quelle persone, che ho faticato a trovare da altre parti.
Magari qualcuno di quelli era pure lui/lei su quel ponte a quell’ora.
E se non c’era, se non c’eravamo, ci saremmo potuti essere. Tutti.
Siamo tutti dei sopravvissuti. Non sprechiamo questo miracolo.
Viva Genova.